Oleaceae
Già conosciuto in epoca romana, l’olivo è un alberello o, se cresce in ambiente naturale, arbusto con corteccia grigiastra. Foglie opposte, lanceolate, a margine intero, grigie nella pagina inferiore. Fiori a corolla bianca, frutto (drupa) verde-nero, più grosso nelle specie coltivate; l’oliva è polposa e ricca di olio. Cresce in tutta l’area mediterranea fino a 900 metri.
Come per il castagno e il cipresso la fama e gli studi su questo albero sono strettamente legati all’uso economico che se ne è sempre fatto e all’importanza enorme dal punto di vista paesaggistico. Eppure anche quest’albero, così familiare ai nostri occhi è originario dell’Asia occidentale anche se coltivato già all’epoca di Tarquinio Prisco (616- 578 A.C.). La zona di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore. Attraverso i vari popoli mediterranei (Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani), si è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo. Creta nel 3000 a.C. esportava olio d’oliva in Egitto. Alcuni rametti fossilizzati di ulivo sono stati ritrovati in tombe egizie risalenti a più di 4000 anni fa. I Fenici introdussero nel XVI secolo a.C), la coltura in Grecia e in Italia e probabilmente nella Spagna e nella Francia meridionali; ma furono i Greci che intorno al IV secolo a.C. la incrementarono nelle colonie della Magna Grecia (Calabria in primis) e la diffusero ulteriormente in tutte quelle regioni mediterranee che avevano in loro il maggiore referente culturale. Con l’avvento del dominio di Roma l’ulivo conosce uno dei suoi maggiori momenti di gloria estendendo il suo areale fino a raggiungere zone, in cui fino a quel momento, anche a causa del clima sfavorevole la sua coltivazione era stata marginale o inesistente. Nel Nuovo Mondo, infine, gli ulivi sono stati introdotti subito dopo la scoperta alla fine del XV secolo. Le prime piante d’ulivo arrivarono alle Antille dal porto di Siviglia dopo la scoperta del Nuovo Mondo e fin dal 1560 si osservano uliveti in Messico e successivamente anche in Perù, in California, in Cile e in Argentina.
L’olio prodotto a Castel Gandolfo viene da quattro principali varietà di olive: Pendolino, Frantoio, Rosciola e Vernina. Pendolino e Frantoio sono comunemente coltivate in tutta Italia, ma Rosciola e Vernina sono tipiche del Lazio e del centro Italia. Nell’oliveto vi è inoltre una pianta della varietà Uovo di Piccione, cultivar quasi dimenticata, ma che produce ottime olive da mensa.
Due alberi dell’oliveto delle Ville Pontificie hanno un significato particolare: uno è un albero della varietà Taggiasca, dono dalla città ligure di Taggia. L’altro è un magnifico albero con un profondo significato religioso e simbolico proveniente direttamente dal Giardino dal Getsemani e fu donato a Papa Paolo VI dal re Hussein di Giordania. Primo successore di san Pietro a compiere un pellegrinaggio in Terra Santa. Paolo VI compie il suo viaggio nel Gennaio del 1964, mentre la Chiesa celebrava il Concilio Vaticano II. Al Santo Sepolcro si fermò in raccoglimento sulla tomba vuota di Cristo, in cui depose un ramoscello d’olivo d’oro portato da Roma, qui celebrò la santa messa, il memoriale della Passione e la sua preghiera per l’unità. Anche Papa Francesco, come già Paolo VI, ha piantato un ulivo nel giardino del Getsemani. Un gesto, insieme alla preghiera per la pace di Bergoglio con Abu Mazen e Shimon Peres che è auspicio di pace e prosperità per la Terra Santa.
L’olivo fa parte dei “sette alberi” cari ai monaci camaldolesi e descritti nelle Constitutiones nel 1080 dal beato Rodolfo per tramandare l’insegnamento di S. Romualdo (Olivo per la fecondità di opere di letizia, di pace e di misericordia). L’olivo è un simbolo di pace, sia religioso che pagano. Nella mitologia pagana è albero sacro a Minerva e simbolo di Atena e della città di Atene.
In Rabano Mauro simboleggia Cristo nella Chiesa «Sicut olivam speciosam vocabit Dominus nomen tuum»; simboleggia l’Immacolata concezione della Vergine (Corona duodecima coronarum Virginis Mariae del francescano Agricola), a volte sostituisce Lilium candidum nell’Annunciazione, simboleggia l’uomo virtuoso (Salmo 52,8: “Io sono come un olivo verdeggiante nella casa di Dio; io confido per sempre nella bontà di Dio”).
È un simbolo della pace di Dio con l’uomo nella Genesi (nell’ Antico Testamento la colomba che annuncia la fine del Diluvio universale porta in bocca un ramoscello d’ulivo), è pianta del perdono (Chiedo a Dio «di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; di ungere tutto il nostro essere con l’olio della sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie; la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi ma fecondi della ricerca della pace», Fratelli tutti 254); è pianta sacra nella costruzione del Tempio di Gerusalemme, nel nuovo Testamento è la pianta regale per Cristo che entra in Gerusalemme, simbolo quindi dello stesso Cristo e quindi per traslazione della stessa Chiesa.
È un orto di olivi (il podere Getsemani) l’ultimo posto dove prega Cristo prima della Passione Luca negli Atti degli Apostoli, attribuitigli come autore sin dai primi tempi, al capitolo iniziale (1, 11), colloca l’Ascensione sul Monte degli Ulivi, al quarantesimo giorno dopo la Pasqua. Si ungono con l’olio i re e i sacerdoti e ancora oggi si usa l’olio (il Sacro Crisma) per le celebrazioni e per molti Sacramenti come l’olio dei catecumeni al Battesimo, nella Cresima, anche nell’Ordine Sacro e nel Crisma della guarigione, simbolo qui di purificazione dal peccato; più volte Cristo stesso è chiamato l’Unto del Signore (I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode,LS 253).
Le foglie fresche della pianta hanno dimostrato di agire in modo favorevole su colesterolo, glicemia e pressione arteriosa (effetto diuretico e vasodilatatore). Le foglie di olivo essiccate, invece, utilizzate in decotto vengono sfruttate contro gotta e reumatismi. Fondamentale nell’alimentazione e non solo è l’olio di oliva: costituisce un alimento prezioso sia per la componente vitaminica ad attività antiossidante, sia per gli acidi grassi, ma è anche usato come eccipiente per numerose preparazioni galeniche e specialità medicinali. Nella medicina popolare, le foglie di olivo vengono utilizzate per il trattamento dell’arteriosclerosi, dell’ipertonia, della gotta, dell’ipertensione, dei reumatismi e del diabete mellito; oltre ad essere impiegate come rimedio contro la febbre. L’olio della pianta, invece, viene utilizzato nella medicina tradizionale come rimedio interno per il trattamento di infiammazioni dell’apparato digerente. Esternamente, invece, la medicina popolare utilizza quest’olio nel trattamento di eczemi, scottature (comprese quelle solari) e reumatismi.
L’olivo trova impieghi anche nella medicina omeopatica come rimedio contro febbre, eipertensione, arteriosclerosi, diabete, etc.
L’olio extravergine di oliva apporta vitamine, antiossidanti, fitosteroli ed acidi grassi monoinsaturi. Pertanto, in sostituzione alla porzione lipidica satura di origine animale (grassi contenuti nei formaggi, nelle carni e derivati grassi, nelle uova, ecc.) può determinare un significativo vantaggio nutrizionale.
L’olivo con la sua altissima simbologia di pace e le sue grandi proprietà terapeutiche, rappresenta la missione della Chiesa per la pace nel mondo e, in generale, per guarire le ferite profonde date dalla guerra e dall’ingiustizia.
“Ci voleva un papa, Francesco, ad invocare concretamente, con segni tangibili, quella pace di cui vi è molto bisogno in un dimenticato medio oriente che, volenti o nolenti, riguarda tutti noi, Cristiani, Ebrei o Musulmani, senza distinzione alcuna. La scelta, non solo simbolica, è stata quella di “piantare”, nei giardini vaticani, un olivo da allevare e far crescere; un olivo, o forse sarebbe stato meglio dire senza giri di parole alcuno la pace che, come il nodoso albero, ha bisogno di essere accudita con attenzione ed alimentata quotidianamente. Quel pezzo di Città del Vaticano, dalla storica data dell’8 giugno 2014, ne sarà testimone davanti alla storia. E poiché «Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra», adesso tocca a noi, a tutti noi”.
Grazie Francesco, Shimon, Mahomud, Bartolomeo.